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Porto Santo Stefano da ricordare

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La Wehrmacht abbandona Porto Santo Stefano

 


 

Alle 22.30 dell'11 giugno 1944 il Colonnello Stevens da Radio Londra annunciò che le truppe tedesche avevano abbandonato Porto Santo Stefano.

 

Un paese che era stato, a suo dire, “piazzaforte della Wehrmacht” nel Mediterraneo, era finalmente libero.

I tedeschi se n'erano andati, come del resto stavano facendo, in quell'estate del 1944, in tutta la Toscana. Si lasciavano dietro un paese ridotto a un cumulo di rovine, un paese fantasma, disabitato, ma libero. Le case distrutte per più del 90 %, la darsena rasa al suolo, gli impianti portuali e ferroviari inagibili, gli abitanti sfollati sui colli del promontorio e nelle campagne.

Di tali devastazioni e sofferenze loro erano stati, con la loro presenza, sicuramente le causa, ma le forze anglo-americane, con i loro continui bombardamenti, unicamente gli artefici.

L'Italia aveva firmato l'armistizio con gli alleati l'8 settembre dell'anno precedente, ma ciò non era valso a far risparmiare dalle bombe tutto ciò che non fosse di interesse militare ma anche edifici civili come le case, le scuole, la chiesa, l'Ospizio Marino, il Comune. Come in gran parte delle città italiane, d'altronde.

Evidentemente l'armistizio valeva per gli eserciti, ma non per i civili. La logica della guerra è comprensibile solo a quelli che la fanno.

I tedeschi se n'erano andati. Da quando erano arrivati per creare una base logistica per i rifornimenti delle truppe impegnate al centro-sud erano passati circa sei mesi. Era stata una presenza sicuramente ingombrante, fastidiosa, e in qualche caso prepotente. Ma tutto sommato non opprimente o repressiva. Sarà perchè i militari tedeschi presenti appartenevano ad unità logistiche o della Kriegsmarine, e non quindi ai famigerati “reparti scelti”, o per l'attitudine alla sopportazione e all'adattamento degli indigeni, retaggio di antichi cromosomi partenopei, fatto sta che la forzata convivenza con i paesani si era svolta complessivamente senza incidenti e violenze. Fu giocoforza convivere, e convissero.

Ma dall'11 giugno 1944 Porto Santo Stefano fu libera. Come lo furono più tardi, in quell'estate, altre città ben più importanti della Toscana: Firenze, Arezzo, Siena, Pisa, ecc.

Le forze armate alleate che risalivano la penisola erano la statunitense 5^ Armata, al comando del generale Mark Wayne Clark e la britannica 8^ Armata al comando di Sir Oliver Leese. Erano presenti inoltre un Corpo d'Armata canadese di tre divisioni, un Corpo di spedizione francese con con quattro divisioni (di cui una francese, una algerina e due marocchine, un Corpo d'Armata polacco con tre divisioni ed altre unità meno consistenti incorporate nelle precedenti o autonome. Tutte queste unità erano raggruppate nel 15°Gruppo di Armate al comando del generale sir Harold Alexander.

I primi americani che a bordo di qualche jeep entrarono in Porto Santo Stefano giù dalla discesa del Valle appartenevano probabilmente al U.S. VI Corp, comandato dal generale Lucian K. Truscott, che stava risalendo la penisola lungo il litorale tirrenico.

Giunsero dopo che i bombardieri USAAF e della RAF avevano già raso al suolo ogni struttura adibita a funzioni militari e quasi tutti gli edifici civili del paese.

Ma a differenza che in altre ben più importanti città toscane, a Porto Santo Stefano, piccolo paese di pescatori e vignaioli, non ci furono accoglienze trionfali, scene di giubilo, corone di fiori offerte ai vincitori, o quant'altro.

Sicuramente vi fu gioia perchè il dramma dei bombardamenti era finito, ma soprattutto curiosità e speranza per l'avvenire.

Né i corrispondenti di guerra dei grandi giornali inglesi e americani al seguito delle truppe dedicarono grande spazio alla liberazione di questo piccolo paese sconosciuto privo di cultura ed opere d'arte, come erano invece molte città della Toscana. Tutto sommato a loro, con la buona dose di superiorità che li contraddistingueva, di quelle importava, conosciute in tutto il mondo.

Era la loro liberazione che faceva  notizia. Le opere d'arte di cui erano ricche, create dai grandi italiani del passato, erano patrimonio dell'umanità, e quindi anche di loro. Degli italiani di allora non è che avessero una gran considerazione. Per la gente che incontravano lungo la via davanti alle loro case con i tetti scoperchiati dalle bombe e i muri franati, talvolta in vesti dimesse e alla ricerca di qualcosa da mangiare, provavano per lo più pena e compassione, se non talvolta, di peggio.

Di Porto Santo Stefano quasi completamente distrutto, in quei frangenti frenetici della vittoria e della sconfitta, importò quindi solo ai santostefanesi, che tornati in paese dalla campagna e dai colli dove avevano passato l'inverno da sfollati, trovarono solo rovine e desolazione.

I “grandi” dell'una e dell'altra parte avevano in quel momento ben altro a cui pensare.

 

Soldati americani tra le rovine delle case distrutte

 

Entrando in paese dalla discesa del Valle...

 

 

 

2008 - Capodomo - di Raul Cristoforetti